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Fino a pochi mesi fa quasi nessuno ne aveva sentito parlare, improvvisamente è sulla bocca di tutti. E quando senti tua nonna dire, “non comprare quello li, che contiene l’olio di palma e ti fa venire il tumore”, capisci che forse è il momento di sfogliare la letteratura scientifica e fare chiarezza sulla questione.
L’olio di palma nell’industria alimentare
Tutto nasce, mediaticamente parlando, nel dicembre 2014 quando è entrato effettivamente in vigore il regolamento UE n. 1169/2011 approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo nel dicembre 2011. Tale regolamentazione impone alle aziende alimentari di specificare la tipologia di olio vegetale utilizzato per la preparazione di un dato prodotto. Prima che questa norma disciplinasse l’etichettatura di questi prodotti, era uso comune riportare la scritta “oli vegetali” sull’etichetta. Per chi volesse saperne di più , l’UE ha rilasciato un documento che spiega a 360° questa normativa.
“Mediaticamente parlando” è una dicitura dettata dal fatto che, in realtà, l’uso di questa sostanza era già diffuso da molti anni. Nell’industria alimentare, il suo utilizzo ha preso piede in seguito all’inasprimento delle misure adottate dall’OMS per limitare il consumo di alimenti contenenti i pericolosi grassi idrogenati: famoso il caso delle margarine.
La scelta di utilizzare proprio l’olio di palma da parte delle aziende è figlia di diversi fattori: innanzitutto, il suo costo è nettamente inferiore rispetto ad altri oli vegetali. In secondo luogo, la quasi totale assenza di sapore non altera la gradevolezza delle pietanze e, al contrario, influisce positivamente sulle preparazioni garantendo una maggiore resistenza alle temperature e all’irrancidimento. Dal punto di vista della resa alimentare, inoltre, a differenza di altri oli vegetali, questo è composto essenzialmente da grassi saturi (palmitico, stearico e laurico). L’olio di palma infatti, dal punto di vista chimico risulta essere molto più simile al burro rispetto che ad un qualunque grasso vegetale, come per esempio l’olio di arachidi. Chiunque si sia mai cimentato nella preparazione di una torta, sa bene che l’aggiunta del burro conferisce una migliore consistenza e struttura alla pietanza. Ciò è dovuto alla consistenza semi-solida del burro, chimicamente conferita proprio dall’alta percentuale di grassi saturi.
Grassi saturi e grassi insaturi

Ecco descritta la struttura chimica di tre acidi grassi: acido palmitico (saturo) e acido oleico e linoleico (entrambi insaturi).
Gli acidi grassi sono delle lunghe catene carboniose a cui è legato un glicerolo in posizione terminale. Questi possono essere suddivisi in acidi grassi saturi se la loro molecola presenta solo legami C-C singoli o insaturi se questa presenta uno o più doppi legami C=C. Dal punto di vista chimico, la presenza o l’assenza di un doppio legame influisce sul ripiegamento della molecola nello spazio.
Dal punto di vista fisico, invece, la presenza di uno o più doppi legami C=C e la lunghezza della catena carboniosa influenza la temperatura di fusione degli acidi grassi. Maggiore è il numero di doppi legami e più le catene carboniose risultano corte, più bassa è la temperatura di fusione. Ed ecco perché, il burro ricco di acidi grassi saturi si presenta solido ( o semi solido) ad una temperatura vicina a quella ambientale, mentre l’olio di oliva, invece ricco di acidi grassi monoinsaturi, alla stessa temperatura risulta liquido.
L’ olio di palma fa male?
Trattandosi di un alimento al alto tenore di grassi saturi è sensato analizzarlo e valutarlo analogamente a come faremmo con altre sostanze contententi alte quantità di grassi saturi, quali il burro o lo strutto. Come risaputo da diversi anni, è bene limitare il consumo di grassi nella nostra dieta, poiché, se presenti in alte concentrazione nel sangue, possono depositarsi lungo le pareti dei vasi e portare ad aterosclerosi. E’ quindi sbagliato affermare che la merendina industriale fa male poiché contiene olio di palma, mentre la torta fatta in casa con il burro è sana. In quantità elevate, fanno male entrambe. Coloro che tengono alla salute delle proprie arterie, è bene che limitino il consumo di grassi in generale, e si attengano alle linee guida che garantiscono un regime alimentare sano e bilanciato. Per quanto riguarda gli acidi grassi saturi, in particolare, le linee guida suggeriscono di rispettare la soglia del 10% sul totale delle calorie giornaliere assunte.

La tabella mostra la percentuale in massa del contenuto di acidi grassi in alcuni alimenti di uso comune.
Olio di palma e colesterolo
La nota positiva è che, a differenza di grassi di derivazione animale, l’olio di palma non contiene colesterolo. In realtà, questa è una falsa nota positiva. Infatti, l‘acido palmitico, miristico e laurico, che abbiamo appreso essere i principali componenti dell’olio di palma, sono inclusi tra quelle numerosissime sostanze responsabili dell’aumento del colesterolo ematico.
E’ bene inoltre citare un recente studio condotto dall’Istituto Mario Negri che, grazie ad un’analisi di 51 precedenti lavori, ha scoperto che regimi alimentari ricchi di olio di palma e acido stearico possono far aumentare il livello di colesterolo totale più di quanto non facciano diete ricche di altri acidi grassi saturi. D’altro canto, sempre nello stesso studio, non si è riscontrato una significativa variazione dei livelli di LDL, più famose come “colesterolo cattivo”. Si attendono ulteriori studi a riguardo.
Olio di palma e cancro
Nel panorama scientifico non vi è alcuna evidenza che provi una qualsiasi correlazione tra olio di palma e insorgenza di fenomeni neoplasici. Tutte le voci in merito risultano infondate.
Olio di palma e diabete
Anche qui non troviamo nulla di scientificamente rilevante. I media nelle scorse settimane, richiamando un nuovo studio pubblicato sulla rivista di Diabetologia, affermavano che “il consumo di olio di palma induce l’insorgenza di diabete di tipo 2”. Tuttavia ciò è stato riportato non corrisponde esattamente alla realtà. Lo studio citato aveva semplicemente documentato come le cellule del pancreas trattate in vitro con acido palmitico hanno riportato un danno. Non è corretto traslare questo esperimento effettuato in vitro su poche cellule all’intero organismo umano, né affermare da questi dati che l’olio di palma causi il diabete.
Sostenibilità e deforestazione
Gli effetti che le piantagioni di palme hanno sul territorio non sono trascurabili. E’ questo uno degli aspetti più criticati della bolla “olio di palma”. Soprattutto nel Sud-Est Asiatico le nuove coltivazioni hanno portato ad una massiccia deforestazione delle aree tropicali. I danni all’assetto del territorio e alla biodiversità sono innegabili e la coltivazione di olio di palma è stata subito etichettata come non sostenibile. Sicuramente è così. Siamo tuttavia sicuri che, a fronte della domanda mondiale di olio, le alternative siano maggiormente sostenibili? E’ stato calcolato che un ettaro di palme produce 7 volte l’olio che produce un ettaro di girasoli e 5 volte quello di uno di arachidi. La buona notizia è che ultimamente, per garantire una produzione sostenibile di tale sostanza, è stato fondato Roundtable on Sustainable Palm Oil: un organo il cui scopo è lavorare affinché i piccoli e i grandi produttori di olio abbiamo una maggiore attenzione verso l’ambiente circostante.